La rinascita della ciliegia italiana: Vignola guida, la Puglia può ripartire

24 nov 2025
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C’è un luogo in Italia dove la ciliegia è molto più di un frutto: è una bandiera, un’identità collettiva. A Vignola, sulle colline tra Modena e Bologna, la cerasicoltura è storia, cultura e tecnica insieme.

Qui, dal 1965, opera uno dei consorzi più antichi del nostro Paese nel settore ortofrutticolo, nato per tutelare e promuovere la Ciliegia e la Susina Tipica di Vignola. Nel 2012, con il riconoscimento dell’IGP, è stato istituito anche il Consorzio di Tutela della Ciliegia di Vignola IGP, oggi emblema di una delle realtà più strutturate e riconosciute in Italia per la gestione di un marchio collettivo di qualità.

Innovazione e identità cerasicola

A offrire un’analisi lucida e appassionata della filiera cerasicola italiana è Walter Monari, direttore di entrambi i consorzi da oltre trent’anni, ospite dell’iniziativa “La necessità di innovazione in cerasicoltura” promossa da Confagricoltura Bari-Bat. Dalla tutela dell’origine alla sfida dell’innovazione, con lui apriamo lo sguardo su un’Italia cerasicola che deve imparare a fare rete e a pensarsi come un’unica filiera.

Partiamo dal Consorzio: cosa rappresenta oggi la Ciliegia di Vignola IGP e quali attività portate avanti?

Prima di entrare nel merito, occorre fare una premessa. A Vignola abbiamo due consorzi: il Consorzio della Ciliegia e della Susina Tipica di Vignola, nato nel 1965, e il Consorzio di Tutela della Ciliegia di Vignola IGP, istituito nel 2012 dopo il riconoscimento del marchio europeo.

Il primo si occupa ancora oggi sia di ciliegie che di susine – di cui a Vignola ne produciamo circa 100 mila quintali l’anno, di qualità elevatissima – mentre il secondo è dedicato esclusivamente alla tutela e promozione dell’IGP. Quest’ultimo, con la sua bandiera rosso-verde e le nove ciliegie nello stemma, è brevettato da anni ed è sinonimo di garanzia.

Oggi, di fatto, oltre il 70% del prodotto è commercializzato come IGP: una quota altissima se pensiamo che in altri comparti ortofrutticoli, come pera o nettarina dell’Emilia-Romagna, le percentuali di marchiatura restano molto basse.

Mercati e qualità del prodotto

Questo perché il nostro marchio non è solo di provenienza, ma anche di qualità: da decenni applichiamo un disciplinare interno, effettuiamo controlli e manteniamo standard costanti. Il consumatore riconosce Vignola come un nome affidabile, sinonimo di qualità elevata e costante.

Circa il 90% del nostro mercato è infatti nazionale, concentrato soprattutto nel Nord Italia, da Firenze in su, dove i consumatori sono disposti a pagare per una qualità elevata.

Di contro, negli ultimi anni, a causa di una riduzione della produzione complessiva – che oggi si aggira tra 60 e 70 mila quintali annui – è diminuito l’export, che riguarda soprattutto Svizzera, Germania, Inghilterra e Paesi arabi, dove la domanda di prodotto di alta qualità è molto forte.

In questi giorni è stato ospite in Puglia dell’evento “La necessità di innovazione in cerasicoltura”. Cosa è emerso dall’incontro?

Sono stato invitato da Massimiliano Del Core, presidente di Confagricoltura Bari-Bat, in Puglia perché stiamo avviando un progetto di filiera con i fondi del PNRR, che coinvolge anche partner pugliesi e trentini e prevede investimenti per le aziende agricole, la ricerca scientifica e le strutture commerciali.

In quest’ottica, ho tenuto alcuni incontri tecnici con produttori e tecnici del Sud Barese, replicando un’esperienza che avevamo già fatto lo scorso inverno nella zona di Bisceglie.

Confronto tra Vignola e Puglia

Da osservatore esterno, come giudichi la cerasicoltura pugliese di oggi?

La Puglia ha una storia importante nella produzione della ciliegia: ricordo che negli anni ’80 venivo qui perché i pugliesi erano più avanti di noi. A Vignola si pensava che il ciliegio non si potesse potare, mentre qui si facevano già impianti bassi e produttivi, con varietà eccellenti come la Ferrovia.

Nel tempo, però, le cose sono cambiate. A Vignola abbiamo rivoluzionato il modo di coltivare: oggi oltre il 40% degli impianti dispone di sistemi di copertura, alcuni dei quali multifunzionali, in grado di proteggere non solo dalla pioggia, ma anche da insetti come Drosophila suzukii.

Una soluzione che ci ha permesso di ridurre fino all’80% i trattamenti antiparassitari e garantire una qualità altissima dei frutti e una redditività interessante per gli agricoltori.

La Puglia, invece, non è stata al passo coi tempi e questo sta determinando l’emergere di diversi problemi strutturali.

Criticità e prospettive in Puglia

I sistemi di copertura sono pressoché assenti e poi si continua a puntare su varietà tardive, spesso cercando di anticiparle con trattamenti, laddove – a mio parere – sarebbe più logico puntare su cultivar precoci, in linea con il clima e con la possibilità di arrivare prima sui mercati.

Quali sono i punti deboli del comparto delle ciliegie in Puglia?

Uno dei problemi principali è l’assenza di un marchio collettivo riconosciuto. In Puglia ci sono ottimi produttori e commercianti, ma ognuno promuove il proprio brand aziendale. Il risultato è che il “prodotto pugliese” non ha la stessa forza commerciale di Vignola, dove tutti lavorano sotto un marchio comune che, oltre a garantire riconoscibilità, consente anche l’accesso a fondi legati alla certificazione IGP.

Poi c’è una questione strutturale: mancano campi sperimentali dove testare portinnesti e nuove varietà in condizioni locali. Senza sperimentazione, gli agricoltori finiscono per affidarsi ai consigli del commerciante o del vivaista, che non sempre coincidono con l’interesse tecnico dell’azienda agricola.

Infine, serve una migliore programmazione. Spesso i produttori ordinano le piante in autunno, quando i vivaisti hanno già venduto tutto. In molti Paesi europei le piante si prenotano un anno prima e questa organizzazione è indispensabile per evitare errori e avere materiali di qualità.

Filiere e futuro

In generale, credo che la Puglia abbia tutte le possibilità per far rinascere la propria cerasicoltura, penso anche al recente bando regionale per gli investimenti nel comparto. D’altra parte, c’è bisogno di un cambio di mentalità e di investire in ricerca, innovazione e nuove varietà.

Hai parlato di una “filiera italiana della ciliegia”. È un sogno o un obiettivo ancora raggiungibile?

Più che un sogno, era un progetto concreto. Circa quindici anni fa avevo proposto l’idea di Ciliegie d’Italia: un marchio nazionale che raggruppasse i principali poli produttivi – Puglia, Vignola, Veneto, Trentino – mantenendo le identità locali.

L’idea era semplice: ogni consorzio avrebbe avuto il proprio disciplinare e i propri controlli, ma insieme avremmo potuto proporre alla grande distribuzione ciliegie italiane di alta qualità per quattro mesi l’anno, da maggio ad agosto.

Se si guarda alle finestre di produzione, infatti, il calendario è ben distribuito: si inizia con la ciliegia della Puglia, poi segue Vignola e si chiude con Melinda in Trentino.

In un’ottica di filiera italiana, vinceremmo tutti, ognuno mantenendo la propria identità, ma parlando con una voce sola.

Dal punto di vista progettuale, però, se con realtà come Melinda, che già lavora in questa direzione, potremmo farlo domani, con la Puglia, purtroppo, no.

Guardando avanti, come vedi allora il futuro della cerasicoltura italiana?

Direi che non è semplice, ma c’è spazio per chi punta sulla qualità. Il ciliegio cresce bene in Trentino, Piemonte e a Vignola. Qui, in modo particolare, la produzione tiene, ma soffriamo la mancanza di giovani agricoltori.

La Puglia, invece, affronta i problemi legati a varietà, impianti e nuove avversità come Armillaria mellea e Drosophila suzukii, che si sta affacciando e può diventare una seria minaccia se non si investe in sistemi di copertura.

In definitiva, il mercato c’è, la domanda è forte, ma serve organizzazione. Fino a qualche anno fa il problema era vendere; oggi, il problema è avere il prodotto giusto, in quantità sufficiente, per rispondere a un mercato che – quando trova qualità – è pronto a riconoscerla.

Fonte immagine: myfruit

Ilaria De Marinis
Fruit Journal


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