I noccioli di amarena per purificare l'acqua contaminata

28 gen 2025
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Le acque reflue dell'industria tessile contengono frequentemente quantità sostanziali di coloranti cationici che sono cancerogeni e mutageni. Uno dei coloranti più comunemente impiegati nelle industrie tessili e di stampa della carta è il verde brillante, un colorante sintetico e tossico. Esso viene anche impiegato nella produzione industriale come agente dermatologico, marcatore batteriologico e additivo per il mangime avicolo per prevenire lo sviluppo di funghi. Il verde brillante è riconosciuto come un colorante che rappresenta notevoli rischi per la salute degli organismi viventi.

Ma dov’è il nesso tra coloranti tossici e la frutticoltura?

La depurazione delle acque contaminate è cruciale per favorire il riuso di questa scarsa risorsa e soprattutto per evitare un’ulteriore contaminazione ambientale. Inoltre, su scala globale la valorizzazione dei rifiuti sta emergendo come un elemento cruciale dello sviluppo sostenibile. Questo approccio promuove l'utilizzo dei materiali di rifiuto organico per ridurre l'impatto ambientale e promuovere l'efficienza delle risorse. Il riutilizzo dei noccioli della frutta, che sono sottoprodotti dell'industria alimentare, non solo previene il loro smaltimento nelle discariche, ma fornisce anche un nuovo valore a questi sottoprodotti, in conformità con i principi dell'economia circolare.

Paesi come la Serbia, che è rinomata per la sua vasta tradizione nella coltivazione della frutta - con pesche, prugne e amarene tra i frutti più prevalenti - possono utilizzare con successo i residui trasformandoli in biochar. Questo composto si ottiene dalla decomposizione termica della biomassa in ambiente anossico (ovvero con poco ossigeno presente).

Grazie alla sua particolare struttura, il biochar riesce ad adsorbire e immobilizzare enzimi utili alla degradazione di sostanze tossiche. In Serbia, hanno esaminato il potenziale di adsorbimento dell’enzima laccasi su biochar sintetizzato da biomassa di scarto chimicamente modificata, in particolare noccioli di amarena, pesca, e prugna. L’innovazione di questo studio sta nella creazione di una soluzione economica che rimuove efficacemente un pigmento tossico integrando il biochar con un biocatalizzatore. I risultati hanno mostrato che si può raggiungere un'elevata efficienza di immobilizzazione (fino al 66%).

Tuttavia, per favorire il processo è necessario raggiungere condizioni ottimizzate, che includono una temperatura di 40 °C, un pH di 5 e un tempo di incubazione di 4 ore. Sebbene l'immobilizzazione dell’enzima laccasi sia altamente efficiente e i risultati della degradazione dei coloranti siano promettenti, ci sono alcuni aspetti che necessitano di ulteriori indagini.

E’ necessaria un’ulteriore ricerca per determinare la stabilità a lungo termine e la riutilizzabilità dell'enzima immobilizzato in ambienti complessi come quelli dove sono depurate le acque reflue. Il valore pratico del sistema potrebbe sicuramente essere migliorato testandolo in condizioni industriali reali, mentre l'ambito di applicazione potrebbe essere ampliato indagando diversi tipi di enzimi e le attività di degradazione di altri inquinanti.

La sfida che si profila all’orizzonte è quella di mantenere una qualità costante del biochar durante la produzione su larga scala; questo perché potrebbero esserci dei problemi durante la scalabilità del processo di immobilizzazione, che rischiano di complicare le applicazioni industriali di questa tecnologia.

In conclusione, il sistema testato ha quindi il potenziale per diventare una soluzione sostenibile e versatile per la gestione ambientale, soprattutto alla luce dei risultati attuali che sottolineano la convenienza economica dell'impiego dei noccioli della frutta (ovvero di biomassa di scarto) per l'immobilizzazione degli enzimi.

Fonte: Antanasković, A.; Lopičić, Z.; Dimitrijević-Branković, S.; Ilić, N.; Adamović, V.; Šoštarić, T.; Milivojević, M. Biochar as an Enzyme Immobilization Support and Its Application for Dye Degradation. Processes 2024, 12, 2418. https://doi.org/10.3390/pr12112418.
Immagini: Opitec

Melissa Venturi
Università di Bologna (IT)


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