La stagione invernale ha lasciato il suo segno nei frutteti, e tra le minacce più insidiose emerse quest’anno spicca il marciume acido nelle ciliegie.
Un fenomeno che, sebbene noto nel mondo della viticoltura, sta prendendo piede anche in questo frutto delicato, richiamando l’attenzione degli esperti.
Un fenomeno in crescita: dal vigneto al ciliegio
Nell’ambito delle uve da tavola, il marciume acido è una vecchia conoscenza.
Provocata da una complessa comunità di lieviti e batteri — tra cui Hanseniaspora, Candida, Pichia e i batteri acetici come Gluconobacter — questa malattia porta alla fermentazione del frutto, sprigionando il caratteristico odore di aceto e rendendo il prodotto non commerciabile.
Oggi, lo stesso scenario si sta ripetendo nei ciliegi.
Uno studio recente condotto in Italia ha rivelato che circa un terzo delle specie microbiche riscontrate su una ciliegia infetta non si trovano sui frutti sani della stessa pianta.
Tuttavia, quasi la metà delle specie — tra il 45 e il 50% — è presente su entrambe le tipologie di frutto.
La differenza sta nella dinamica delle popolazioni microbiche, con lieviti che aprono la strada e batteri che chiudono il processo di macerazione.
Sintomi e condizioni favorevoli
A differenza di altre muffe filamentose, il marciume acido si manifesta soprattutto nella post-raccolta.
Le ciliegie colpite presentano depressioni secche o umide, spesso ricoperte da una patina lucida simile a una glassatura.
Se lasciate a temperatura ambiente, la situazione precipita velocemente: il frutto si macera, rilasciando un forte odore acetoso e collassando in pochi giorni.
La Drosophila, comunemente nota come moscerino della frutta, gioca un ruolo cruciale nel diffondere l’infezione.
Sebbene il collegamento con la specie invasiva Drosophila suzukii non sia ancora confermato per le ciliegie, si ipotizza che le ferite lasciate dall’ovopositore possano fungere da porta d’ingresso per i microrganismi.
Acqua di lavorazione e rischio di contaminazione
Uno dei punti critici nel processo di confezionamento delle ciliegie è l’utilizzo di acqua per facilitare il movimento del frutto nelle linee di lavorazione.
Se l’acqua non è adeguatamente sanificata, diventa un veicolo per la diffusione del marciume acido.
La stagione appena conclusa ha mostrato un aumento significativo delle contaminazioni da lieviti come Rhodotorula, Aureobasidium e Candida, sottolineando la necessità di migliorare le procedure di igiene.
Strategie di contenimento: prevenire è meglio che curare
Al momento non esistono soluzioni chimiche o biologiche consolidate per combattere questa malattia.
Tuttavia, gli esperti suggeriscono alcune pratiche per ridurre il rischio:
- Migliorare la difesa naturale del frutto: Aumentare il contenuto di calcio nella polpa rende le ciliegie meno vulnerabili. Frutti da alberi sovraccarichi o con scarsa assimilazione di calcio sono più esposti.
- Raccolta al momento giusto: Ciliegi con frutti troppo maturi o di colore scuro sono più suscettibili all’attacco microbico.
- Confezionamento controllato: Monitorare la qualità dell’acqua di lavorazione, sanificare regolarmente le linee di confezionamento e ottimizzare l’uso dei sanificanti.
- Vendita rapida: La ciliegia ha una vita commerciale limitata. Prolungare eccessivamente la conservazione può esporre il frutto a infezioni.
Il futuro della ciliegia passa per una maggiore comprensione di queste dinamiche microbiche.
La strada da percorrere è ancora lunga, ma con una sorveglianza costante e tecniche sempre più avanzate, i produttori possono sperare di tenere sotto controllo questo nemico silenzioso prima che diventi una minaccia irreversibile.
Héctor García O., co-fondatore e direttore generale di Laboratorios Diagnofruit Ltda.
Fonte: Smartcherry
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