Nel cuore verde dell’Oregon, dove le dolci ciliegie prosperano tra la Columbia River e il Monte Hood, una minaccia silenziosa sta mettendo a rischio uno dei pilastri dell’agricoltura statunitense: l’X-disease, una fitopatia che rende i frutti piccoli, insipidi e non commercializzabili. E in assenza di cure, la prevenzione diventa la prima e unica linea di difesa.
Un’industria sotto pressione
Con un valore di 68,2 milioni di dollari (circa 63,4 milioni di euro) nel 2022, l’Oregon è il terzo produttore di ciliegie dolci degli Stati Uniti, rappresentando circa l’11% del mercato nazionale. Tuttavia, la ricomparsa dell’X-disease nel Pacifico nord-occidentale ha acceso l’allarme tra i coltivatori, soprattutto nella Mid-Columbia Valley, dove si concentra gran parte della produzione.
Il patogeno si diffonde rapidamente attraverso l’innesto radicale tra alberi vicini o tramite insetti vettori, in particolare le cicaline. Il rischio è di perdere interi frutteti in soli due anni, come già avvenuto negli anni ’80 in California, quando l’epidemia compromise la produzione nelle contee di Napa, Sonoma e Solano.
L’approccio dell’OSU Extension
In prima linea nella battaglia contro l’X-disease c’è il team dell’Oregon State University Extension Service, guidato da Ashley Thompson, specialista in frutticoltura e docente presso il College of Agricultural Sciences dell’OSU. Il suo approccio combina ricerca scientifica e formazione sul campo, coinvolgendo attivamente i produttori nella lotta alla malattia.
Fonte: SL Fruit Service
Grazie alla collaborazione tra agricoltori e ricercatori, sono stati identificati 60 frutteti infetti nella contea di Hood River. Per contrastare la diffusione, Thompson ha organizzato giornate dimostrative nei campi, workshop pratici e conferenze, raggiungendo oltre 1.200 partecipanti tra coltivatori e operatori del settore.
Tra le sue iniziative più efficaci, la distribuzione di oltre 1.500 schede di riconoscimento in formato bilingue (inglese e spagnolo) e la pubblicazione di materiali divulgativi accessibili a tutta la filiera, come la guida congiunta OSU-WSU per il campionamento e il monitoraggio dei sintomi.
Strategie per il futuro
Nonostante la mancanza di una cura, la ricerca guidata da Thompson ha evidenziato che la rimozione tempestiva delle piante infette, unita all’uso di piantine certificate sane, può contenere efficacemente la malattia. Inoltre, studi recenti hanno dimostrato che il fumigante del suolo pre-impianto, una pratica costosa, non è sempre necessario.
Il programma di ricerca ha ottenuto 186.313 dollari (circa 173.100 euro) in finanziamenti da enti come la Washington Tree Fruit Research Commission, l’Oregon Sweet Cherry Commission e i Columbia Gorge Fruit Growers, a testimonianza dell’interesse crescente per la sostenibilità della filiera.
Un modello replicabile
Il lavoro dell’OSU Extension si sta affermando come modello virtuoso, basato su formazione continua, accessibilità linguistica e cooperazione tra scienza e agricoltura. In un settore sempre più globalizzato, dove anche l’Italia guarda con attenzione alle sfide fitosanitarie internazionali, l’esperienza dell’Oregon può offrire spunti per prevenire future crisi produttive.
La lotta all’X-disease non è ancora vinta, ma l’alleanza tra ricerca e territorio sembra aver tracciato la strada giusta per proteggere uno dei frutti più amati d’America.
Ashley Thompson
OSU College of Agricultural Sciences (USA)
Fonte immagine: Ashley Thompson
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