La gestione del rischio da pesticidi per gli impollinatori è diventata una priorità globale. Se da anni l’attenzione è rivolta soprattutto all’ape da miele (Apis mellifera), oggi sappiamo che anche le api non-Apis – selvatiche e non gestite – svolgono un ruolo cruciale nell’impollinazione sia delle colture sia della flora spontanea.
Comprendere dove e come queste api vengano esposte ai pesticidi è essenziale per sviluppare strategie di mitigazione realmente efficaci. Un recente studio condotto in Oregon, Stati Uniti, in un sistema cerasicolo intensivo circondato da habitat di quercia di Garry (Quercus garryana), ha messo in discussione alcune assunzioni consolidate, rivelando che le principali fonti di contaminazione non sono sempre quelle più evidenti.
I ricercatori hanno costruito una rete di interazioni pianta-impollinatore basata su dati di campo raccolti in due anni, integrando campionamenti di polline dalle colonie di Apis mellifera con osservazioni di visita delle api selvatiche sulle stesse piante.
Rischio da piante spontanee
L’analisi ha permesso di attribuire a ciascun genere vegetale un “Hazard Quotient” (HQ), ovvero un indice del rischio da pesticidi per visita, tenendo conto sia dei residui rilevati nel polline sia della tossicità dei principi attivi coinvolti.
Incrociando queste informazioni con le frequenze di visita delle diverse api, è stato possibile mappare i percorsi di esposizione ed identificare le piante che contribuiscono maggiormente al rischio.
I risultati mostrano che il principale contributo all’esposizione delle api non-Apis non proveniva né dal polline di ciliegio (la coltura target) né dalla deriva dei trattamenti dai frutteti vicini, ma da un genere di piante spontanee comunissimo nel sotto-filare: il Taraxacum (tarassaco, comunemente detto “dente di leone”).
La combinazione di elevata contaminazione del polline ed alta frequenza di visita da parte di alcune specie, in particolare del genere Osmia, ha reso questa pianta erbacea un inatteso hotspot di rischio.
Strategie di gestione per api diverse
Inoltre, altre piante di copertura, come alcune Brassicaceae, hanno mostrato un ruolo simile in determinati periodi post-fioritura.
Dal punto di vista gestionale, per proteggere Apis mellifera, le strategie già consolidate restano valide: utilizzo di molecole meno tossiche, riduzione della deriva (tramite ugelli antideriva e additivi specifici), applicazioni notturne o in assenza di fioritura.
Tuttavia, per le api selvatiche, la sfida è diversa: non è sufficiente intervenire sui trattamenti in fioritura, ma occorre anche valutare attentamente le fioriture spontanee o di copertura all’interno ed ai margini dei frutteti.
Mantenere o eliminare certe piante al momento giusto può fare la differenza tra un habitat rifugio ed una trappola.
Rivedere i protocolli di valutazione
Lo studio mette anche in discussione un pilastro dei protocolli di valutazione del rischio: l’utilizzo di Apis mellifera come specie che riassume tutte le api.
Infatti, sebbene i valori medi di HQ tra api da miele e selvatiche siano comparabili, i percorsi di esposizione sono radicalmente diversi e richiedono misure mirate per ciascun gruppo.
In sintesi, la protezione degli impollinatori richiede oggi un approccio più attento, dinamico e contestualizzato.
I risultati ottenuti dimostrano che il vero rischio non sempre si trova dove ci si aspetta e che la gestione delle piante spontanee nei frutteti può essere cruciale quanto la gestione fitosanitaria delle colture.
Questo significa ripensare al ruolo della vegetazione di copertura e integrazione di nuove variabili ecologiche nei piani di gestione integrata. Proteggere le api, in tutte le loro forme, è proteggere la resilienza e la produttività dei sistemi agricoli.
Fonte: Carlson, E. A., Best, L., Melathopoulos, A., Namin, S. M., & Sagili, R. (2025). A risk based pollination network for non-Apis bees demonstrates the importance of understory plant contamination. Scientific Reports, 15(1), 14519. https://doi.org/10.1038/s41598-025-99244-w
Fonte immagine: Michael Puntaier
Andrea Giovannini
Università di Bologna
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