I ritorni dalle esportazioni sono stati desolanti nell’ultima stagione. Un fenomeno che si intuiva, ma che nessuno voleva davvero affrontare: l’offerta di ciliegie in Cina è stata impressionante e ha portato i prezzi ai minimi storici. Chi sono stati i più colpiti? Chi ne è uscito indenne?
Come affrontare la situazione nei prossimi anni, quando la produzione continuerà ad aumentare? Nelle pagine seguenti riportiamo le proposte di consulenti esperti affinché questa coltura resti un’ottima opportunità di business.
Un nuovo scenario di mercato
Tutto indica che il panorama delle esportazioni di ciliegie sta cambiando. Come affrontare questa nuova realtà? Redagrícola ha intervistato sette consulenti di rilievo del settore per raccogliere i loro punti di vista: Jorge Astudillo, Jordi Casas, Marcelo Correa, Raimundo Cuevas, Christian Gallegos, Walter Masman e Sebastián Navarro.
Al momento delle interviste non si conosceva ancora con precisione l'entità del calo dei ritorni per i produttori, ma le liquidazioni finora ricevute indicavano già una riduzione significativa.
“Anche se bisogna attendere i dati definitivi, la media nazionale sarà probabilmente inferiore ai 2 dollari (circa 1,85 €) per chilo”, stimava Jordi Casas. “Il calo dei prezzi in Cina è stato intorno al 60%”, aggiungeva Christian Gallegos. Tutti concordano sulla causa principale:
“È la legge numero 1 dell’economia: domanda e offerta – riflette Marcelo Correa –. Passare da 65 milioni di casse prima del Capodanno cinese (12 febbraio 2024) a circa 100–110 milioni prima del Capodanno del 29 gennaio 2025 ha significato 40 milioni di casse in più da vendere in due settimane in meno. Il mercato è andato in saturazione.”
Fattori critici e prime conseguenze
“Sono stato in Cina tra il 14 e il 24 gennaio – racconta Jordi Casas –. Ho girato diverse città, visitato oltre 10 importatori, negoziato nei mercati: c’erano ciliegie ovunque, in quantità impressionanti.”
Walter Masman fa due conti per smontare il mito del mercato infinito: “Quest’anno sono partite 125 milioni di casse da 5 kg; divise per la popolazione cinese di 1,2 miliardi, il consumo pro capite dovrebbe essere di mezzo kg a persona. Tutti i cinesi possono permetterselo economicamente? Sappiamo che ci sono ancora ampie fasce di popolazione con redditi molto bassi”.
Anche il rallentamento della crescita economica in Cina ha inciso sulla domanda: le persone sono meno disposte ad acquistare un prodotto costoso come la ciliegia, associato a feste e regali.
Si è parlato anche di alcune fake news che denunciavano presunti danni provocati dalle ciliegie cilene, di invii con qualità insoddisfacente e persino di un cambiamento culturale nelle nuove generazioni, che starebbero abbandonando l’abitudine di mangiare in famiglia e fare regali.
Chi si è salvato nel nuovo scenario...?
I produttori di ciliegie precoci sono quelli che hanno subito meno le conseguenze della nuova situazione.
“In base a quanto accaduto – osserva Walter Masman – i risultati, in generale, sono stati positivi. Per chi ha raccolto prima del 25 novembre, più o meno, è ancora un ottimo affare. I pochissimi che sono riusciti a vendere in ottobre hanno probabilmente ottenuto più di 12 dollari/kg (circa 11,1 €/kg). Le raccolte di Santina nelle settimane 45 o 46 si sono aggirate tra i 5 e i 6 dollari/kg (circa 4,6–5,5 €/kg).”
Raimundo Cuevas, della Abud y Cía., ha osservato liquidazioni intorno ai 3–3,5 dollari/kg (2,8–3,2 €/kg) per i produttori che hanno raccolto frutta di buona qualità entro i primi giorni di dicembre.
“Ovviamente si tratta di un guadagno inferiore alle aspettative, ma comunque in grado di generare un utile tra i 10.000 e i 15.000 dollari/ha (9.250–13.875 €/ha), il che resta positivo. È anche un segnale: in uno degli anni peggiori per i prezzi, la ciliegia resta una coltura sulla quale continuare a puntare.”
Esiti positivi e nuove strategie
Cuevas include nella lista dei risultati favorevoli anche le varietà di alto valore come Rainier e Kordia, che hanno aiutato a compensare le perdite delle altre varietà nei campi dove sono presenti.
Masman segnala inoltre un gruppo di produttori della zona di Panguipulli che, insieme all’esportatore, ha deciso già in anticipo di puntare su destinazioni diverse dalla Cina, in particolare gli Stati Uniti. Questo mercato ha garantito ritorni tra i 2,5 e i 3 dollari/kg (2,3–2,8 €/kg) per frutta di buona qualità, in un periodo di scarsa offerta e con volumi contenuti.
"Chi è in una posizione migliore?" – si chiede Sebastián Navarro –. Innanzitutto le esportatrici consolidate, con buoni marchi, buone etichette, riconosciute dal mercato, che sono riuscite a selezionare e distinguere la propria frutta. Tra i produttori che sono riusciti a raggiungere il livello qualitativo richiesto per confezionare sotto queste etichette, ce ne sono diversi che chiuderanno la stagione con un bilancio positivo."
…E chi sono stati i più colpiti?
Secondo Raimundo Cuevas, le difficoltà cominciano da San Fernando in giù, dipendendo molto dalla qualità della frutta e dalle varietà coltivate: "Chi aveva varietà come Lapins o Santina tardive, Sweetheart o altre più vecchie come Bing, è in seria difficoltà, con liquidazioni probabilmente inferiori ai costi di produzione."
"Man mano che le raccolte si avvicinano alla metà di dicembre – conferma Walter Masman – i prezzi crollano. Ho visto liquidazioni di Lapins vendute tra il 10 e il 15 gennaio, calibro 2J, a 1,5 dollari/kg (1,4 €/kg); il calibro 3J a 2–2,2 dollari/kg (1,85–2 €/kg). Dal calibro Jumbo in giù, in quel periodo le liquidazioni iniziano già a essere negative. Ho l’impressione che da Talca ad Angol la situazione sarà molto compromessa."
Crisi o riequilibrio? Strategie per sopravvivere
Jordi Casas: "Per tutto quello che è stato raccolto dopo il 1° dicembre, probabilmente i ritorni saranno inferiori alla metà rispetto all’anno scorso. Questo porta molte aziende in rosso, alcune appena in pareggio. La ciliegia diventerà un business nella media, simile ad altre colture, con un rischio maggiore rispetto al passato."
I produttori più a rischio sono quelli che coltivano solo ciliegie e che riceveranno incassi inferiori ai costi per ettaro, soprattutto le aziende medie e piccole. Alcuni usciranno dal settore per difficoltà finanziarie, per non disporre di varietà che raggiungano il calibro minimo redditizio per l’export o per produttività troppo bassa, spiega Marcelo Correa.
"Chi spedisce frutta senza calibro, con basso grado zuccherino o consistenza molle, ha ben poche possibilità, anche nel periodo precoce", afferma Masman. "Quando c’è sovrapproduzione, si analizza tutto al microscopio", conclude Correa.
Il prezzo elevato delle ciliegie in Cina è legato alla tradizione di regalarle durante il Capodanno come dono pregiato.
Immagine 1. Il prezzo elevato in Cina è legato all'usanza di offrire la ciliegia come eccezionale regalo di Capodanno.
È arrivato il momento di sradicare? (Le piante, naturalmente)
Raimundo Cuevas: "Più che una crisi dell’industria, si tratta di un riequilibrio di mercato che sapevamo sarebbe arrivato. Non è il momento di sradicare in preda al panico. Le decisioni vanno prese a mente fredda. Tre o quattro stagioni fa si dava per spacciata la Lapins; in un’altra toccò alla Regina, e si commisero follie come sradicare impianti nuovi o innestare con Santina… E poi l’anno successivo Regina fu quella con le migliori liquidazioni. I frutticoltori esperti sanno che una stagione negativa non fa tendenza. Questo è un settore pieno di sorprese. Serve calma, soprattutto se si sta producendo bene."
Tuttavia, questo potrebbe essere un buon anno per dismettere quegli impianti che trascinano problemi da tempo. Ma quali criteri adottare per prendere una decisione tanto drastica?
Christian Gallegos:
"La mia raccomandazione: conoscere bene i propri costi e la propria produttività. Un impianto che produce 7.000 kg/ha non è più sostenibile. Lo era quando si veniva pagati 5 dollari (4,6 €), ma con 2,5 (2,3 €) si va in perdita. In ogni azienda ci sarà sempre un settore meno produttivo, magari per problemi fitosanitari, per limiti del suolo o dell’irrigazione. A Osorno, per esempio, ci sono appezzamenti in piena produzione con il 40% delle piante mancanti. Rimpiazzarle è una perdita di tempo: per via di allelopatia, concorrenza su nutrienti, luce e acqua, l’albero nuovo non raggiungerà mai il potenziale. Con il 60% delle piante, il massimo che puoi ottenere è 6.000–7.000 kg/ha. Anche facendo miracoli, non si arriva ai 10.000 kg/ha con l’85% esportabile e un ritorno di 2,5 dollari. Va sradicato. A 5 dollari/kg potevi tenerlo in terapia intensiva… oggi è troppo costoso."
Gallegos stima che in futuro i prezzi si assesteranno intorno ai 3 dollari/kg (2,8 €/kg) come media tra annate buone e cattive. Un frutteto da 10.000 kg/ha con l’80% esportabile genererebbe 24.000 dollari/ha (22.200 €/ha), con un costo di circa 20.000 (18.500 €). La ciliegia si trasformerebbe così in un business da 4.000–5.000 dollari/ha (3.700–4.600 €/ha), in attivo, ma poco remunerativo per un investimento annuale che supera i 20.000 dollari.
Jordi Casas:
"In Cile abbiamo ottimi frutticoltori, persone che sanno fare i conti. La maggior parte sa quali sono i propri appezzamenti sotto i 10.000 kg/ha o quali varietà non hanno più margini di miglioramento e devono essere estirpate."
Addio ai calibri L, XL... e Jumbo?
Oggi i calibri Large (L), Extra Large (XL) e Jumbo (J) registrano un bilancio negativo, afferma Jordi Casas. Inoltre, il confezionatore addebita comunque un costo per ogni chilo che passa sulla linea, sottolinea Sebastián Navarro: “i produttori devono prenderne atto se vogliono continuare con un frutto il cui risultato finale sarà negativo”.
Marcelo Correa propone di non confezionare più i calibri L e XL a partire dal 1° dicembre. Secondo Casas, forse anche parte dei frutti J dovrebbe essere esclusa durante il picco della stagione.
“La frutta L e XL dovrebbe andare al mercato locale. Non si esporta, punto”, dichiara Christian Gallegos, citando l’esempio dell’industria cilena del mirtillo, che decise anni fa di non esportare frutti sotto i 12 mm.
Una scelta di questo tipo porterebbe a togliere dal mercato il 15–20% dell’offerta nazionale, stimano Correa, Casas e Gallegos. Con la produzione prevista per il 2025/26, si esporterebbero volumi simili alla scorsa stagione – circa 125 milioni di casse – ma con calibri superiori.
Correa considera corretta la decisione di alcune esportatrici di confezionare solo dal calibro Jumbo in su nel momento del picco e ipotizza che in futuro si accetterà forse solo una certa percentuale di Jumbo per produttore. Jorge Astudillo porta un esempio da Ovalle: la 2J di Brooks ha ottenuto ritorni di 5,5 $/kg (circa 5,1 €/kg), la 4J 14 $/kg (circa 12,9 €/kg).
Christian Gallegos: “Quest’anno le liquidazioni per chilo di XL saranno attorno ai 30 centesimi (circa 0,28 €), ma costa almeno 1,5 dollari (1,38 €) produrlo. Perdi più di 1 dollaro al chilo”.
Come ottenere calibri maggiori?
A partire dalla varietà, Walter Masman spiega che la genetica di Santina o Royal Dawn limita il raggiungimento di calibri superiori. “Se produci 15.000 kg/ha, difficilmente otterrai frutti oltre i 28 mm”.
Correa invita ad abbandonare l’idea di 20.000 kg/ha per una Lapins e considera più realistico puntare a 15.000–18.000 kg/ha per ottenere calibri 2J o superiori, migliorando anche il contenuto di sostanza secca e la shelf-life.
“Il mercato dice chiaramente che è più redditizio ottenere calibri sopra i 28 mm”, afferma Correa, e per questo serve un lavoro agronomico mirato. Ogni produttore deve conoscere il proprio impianto e trovare il giusto equilibrio tra produzione e calibro.
La regolazione del carico è cruciale e si definisce con la potatura. A questa seguono, se necessario, il diradamento delle gemme e il diradamento precoce dei frutti, a seconda dell’allegagione, spiega Masman. Più frutti per brindillo o per metro lineare significa calibri più piccoli, aggiunge Astudillo.
Raimundo Cuevas consiglia di analizzare le curve di calibro degli impianti per capire come migliorarle, in modo che la regolazione del carico non sia solo basata sull'intuizione. Jordi Casas propone di confrontare le annate di massima e minima resa per individuare il margine reale di ciascun appezzamento.
Il cosiddetto “diradamento cinese” è stato giustificato nelle ultime 2 o 3 stagioni, riferisce Sebastián Navarro: “L’ideale è regolare prima, ma se serve, ben venga. Anche se richiede manodopera, è comunque inferiore a quella necessaria per raccogliere frutta piccola, che poi non viene confezionata o viene venduta a basso prezzo, generando perdite”.
Superare la soglia di produzione uccide il business
Quest’anno, racconta Cuevas, il rischio di gelate ha spinto molti produttori a lasciare un sovraccarico “di scorta”. Poiché le gelate non si sono verificate, l’allegagione è stata completa, danneggiando calibro e qualità.
Cuevas consiglia di uscire dall’inverno con l’impianto ben regolato, di puntare su tecnologie per il controllo delle gelate (coperture, ecc.), e di preferire una produzione leggermente più bassa ma con frutti di qualità, perché eccedere nella quantità rovina la redditività.
Tutto parte dalla regolazione del carico, poi si lavora su irrigazione, nutrizione, mappature satellitari, uniformità del frutteto, difesa fitosanitaria e stimolazioni.
Per ottenere buoni calibri, bisogna iniziare già tra gennaio e marzo con l’accumulo di riserve nella pianta, a cui si aggiungono in seguito la gestione irrigua, i regolatori di crescita e le tecnologie colturali.
Jordi Casas: "Bisogna essere molto scrupolosi per ottenere i migliori risultati."
Ovviamente non si deve trascurare la produttività. Jorge Astudillo sottolinea che diradamento, carico e calibro vanno gestiti anche nelle varietà autocompatibili come Santina e Lapins.
Nelle autoincompatibili la produttività è di norma più bassa e la sfida è l’allegagione. Serve sincronizzare varietà impollinanti e principali – come Brooks, Royal Dawn e Rainier – per raggiungere 3 o 4 frutti per brindillo.
Ai gesti agronomici si aggiungono i pacchetti tecnologici, come l’uso di reti ombreggianti, per controllare la radiazione invernale e migliorare fioritura e germogliamento. La relazione tra produzione e calibro non è lineare, avverte Jordi Casas.
Serve un approccio personalizzato, conferma Sebastián Navarro, che porta un esempio dalla sua esperienza: “Il mio miglior appezzamento ha prodotto 19.000 kg di Lapins e si è concentrato sul calibro 3J. Non c’era frutta XL. La mia Santina non supera mai le 15 tonnellate; con le 12 che produce ottengo parecchi XL. Dovrò ridurre. Ognuno deve conoscere la propria realtà”.
Riduzione dei costi o investimenti indispensabili?
Anche se i costi possono variare, Christian Gallegos, sulla base di analisi reali, stima un costo di circa 14.000 $/ha (circa 12.950 €/ha), a cui si somma il costo di raccolta, attorno a 50–55 centesimi/kg (0,46–0,51 €/kg).
“Se hai 10.000 kg/ha, ti costerà 14.000 + 5.000 dollari, cioè 19.000 $/ha (1,9 $/kg, circa 17.600 €/ha o 1,75 €/kg). Un produttore con 20.000 kg/ha avrà gli stessi 14.000 $ di base + 10.000 $ di raccolta, cioè 24.000 $ (1,2 $/kg, circa 22.200 € o 1,11 €/kg)”.
Con questi numeri, se il ritorno è 1,5 $/kg (1,38 €/kg), un produttore da 10.000 kg/ha perde circa 4.000 $/ha (3.700 €/ha).
Immagine 2. Le persone coinvolte nel raccolto sono fondamentali e rappresentano una parte essenziale del raccolto della produzione di ciliegie.
Strategie per ridurre i costi e aumentare i margini
“Il modo migliore per abbassare i costi è ottenere più volume per ettaro della frutta obiettivo”
Sebastián Navarro: “Il costo di produzione non dovrebbe superare 1,5 dollari per kg (circa 1,38 €), o, ad essere generosi, 1,8 (1,66 €). Chi spende di più ha un approccio sbagliato”.
Come si possono ridurre i costi? La voce di spesa più importante è la manodopera. Christian Gallegos, Walter Masman e Marcelo Correa stimano che rappresenti circa il 70% del totale, con leggere variazioni. In ordine decrescente, le voci principali sono raccolta, diradamento e potatura, spiega Masman.
Marcelo Correa: “Per questo promuovo la coltivazione del ciliegio a pergola – dice Correa – perché un lavoratore può raccogliere 280 kg o più al giorno, contro i 180 kg/giorno con l’asse centrale”. Propone anche di fare potature più forti e a cottimo, “ma con una supervisione eccellente: bisognerà essere molto precisi, usare le forbici per migliorare il calibro e fare, in alcuni casi, il diradamento ‘cinese’.”
I grandi produttori possono offrire continuità con altre specie e spuntare prezzi più bassi per la raccolta, osserva Jordi Casas. Se l’efficienza del raccoglitore è bassa, e lascia molte ciliegie di calibro piccolo o frutti doppi, il produttore pagherà il processo per frutta che verrà poi scartata: è la peggiore delle situazioni, avverte Masman.
Se il problema è la difficoltà di raccolta, bisogna regolare l’altezza delle piante per semplificare il lavoro. Una buona gestione dell’irrigazione, pratiche antistress, sanità, biostimolanti, protezione solare, nutrizione, potatura e regolazione rendono l’albero più efficiente e aiutano a contenere i costi.
In generale, i consulenti sconsigliano di indebolire i programmi fitosanitari e nutrizionali, se ben impostati. Le esigenze di qualità e sicurezza alimentare lo impongono.
Qualche piccolo risparmio è possibile, afferma Masman; magari cercando alternative più economiche validate dalla ricerca, aggiunge Casas, ma l’impatto sul costo complessivo sarà marginale.
Sebastián Navarro: “Chi ha riempito il programma con trattamenti inutili, li tolga subito”, afferma Casas. “Nei momenti di boom ho visto piani fitosanitari da 4.000 a 5.000 dollari/ha; oggi si possono gestire bene anche con 2.000–3.000” (1.850–2.775 €/ha), conferma Navarro.
Christian Gallegos: “Quando si parla di tagliare i costi, gli input sono la voce con meno impatto. Si può finire per compromettere qualità, condizione o volume della frutta per non aver applicato una citochinina sintetica per il calibro, un fungicida chiave, o un trattamento per la tenuta del frutto, perdendo anche il 20% della produzione. Non si tratta di risparmi ‘malintesi’.”
Per lui, la parola chiave è gestione: “Non riduco i costi togliendo prodotti, ma ottimizzando l’uso dei macchinari. Se sto irrorando con 1.500 L/ha quando in realtà servivano 1.000 L/ha, ho già ridotto del 30% la spesa per gli input, visto che il dosaggio è per ettolitro”.
Investimenti strategici possono invece aumentare i ricavi: ad esempio tetti in plastica per anticipare la raccolta e ottenere i prezzi migliori, suggerisce Masman per alcuni produttori della fascia precoce.
Raimundo Cuevas: Non si tratta solo di stringere la cinghia: a volte introdurre tecnologie per irrigazione e nutrizione aumenta produttività e qualità.
Secondo Jorge Astudillo, a Ovalle non si può pensare a un impianto di ciliegio senza reti ombreggianti. Inoltre, afferma che coperture tipo serra o macrotunnel saranno necessarie man mano che la zona centrale inizierà ad anticipare le raccolte con questi sistemi. “Il potenziale produttivo del nord, legato alla latitudine, deve essere accompagnato da tecnologia.”
Che motivo c’è per continuare a pagare cara la ciliegia?
Sebbene è probabile che i prezzi d’oro della “golden age” cilena non torneranno in Cina, si possono pensare strategie per mantenere alta la redditività.
Nelson Gallardo, agronomo attivo nella zona sud, spiega: “I consumatori cinesi pagavano bene perché la ciliegia era un regalo distintivo, esclusivo. Ora abbiamo inondato il mercato. Non è più un regalo speciale. Perché dovrebbero continuare a pagarla a caro prezzo?”
“Dobbiamo posizionare la ciliegia come bene di lusso, non può diventare una commodity,” considera Marcelo Correa.
“Abbiamo fatto un ottimo lavoro. Ora la sfida del mercato è superare quanto già costruito,” dice Walter Masman.
Raimundo Cuevas: “Se ci riusciamo, il business durerà a lungo: non competiamo con altri Paesi, ma con noi stessi.”
Jorge Astudillo propone una strategia di differenziazione per la ciliegia di Ovalle:
“La frutta precoce delle altre zone viene da serre o macrotunnel, ed è più molle. La nostra è croccante, dolce. L’esportatrice Teno Ovalle ha introdotto una scatola verde che inizia ad essere riconosciuta in Cina: è un po’ più chiara, ma molto gradevole dal punto di vista sensoriale. Quando siamo i primi ad arrivare, i parametri di colore non sono così rigidi. L’obiettivo di chi investe a Ovalle è ottenere i prezzi migliori a inizio stagione, giustificando così l’investimento, sia da parte di produttori locali sia esterni.”
Premiare la qualità: un appello alle esportatrici
Jordi Casas solleva il problema della commistione di frutta di diversa origine e trattamento nella stessa cassa, che deve essere risolto da produttori ed esportatori.
Christian Gallegos: “Tutte le esportatrici hanno una cassa ‘premium’ e una ‘generica’ (cat. 2), con frutta che ha qualche difetto ma rispetta lo standard di mercato. Informano il produttore su quale percentuale è andata in premium e quale in cat. 2. Ma quasi nessuna specifica i ritorni differenziati. Fanno un pool e dicono: Regina, settimana 52, calibro Jumbo: 3 dollari/kg (2,77 €/kg). Non c’è incentivo per produrre meglio. Così il produttore preferisce confezionare il 90% in cat. 2 piuttosto che fare lo sforzo per ottenere il 75% in premium. Il mercato si appiattisce verso il basso: si penalizza il migliore e si favorisce chi lavora peggio. Non può continuare così.”
La sua proposta:
“Liquidare per varietà, settimana e tipo di confezione. Se nella settimana 52 il calibro Jumbo in cassa premium vale 3 dollari/kg e in cat. 2 vale 2 dollari (1,85 €), questo va indicato chiaramente. L’anno dopo il produttore vorrà che tutta la sua frutta finisca in premium e curerà meglio la qualità.”
Diversificare i mercati è già cominciato, ma richiede tempo
C’è consenso sulla necessità di diversificare i mercati: si teme che la Cina non sarà in grado – o disposta – ad assorbire tutta la produzione futura, almeno non ai prezzi di prima.
Raimundo Cuevas: “La buona notizia è che la Cina ha comunque ‘consumato’ le 120 milioni di casse inviate. Se 20 milioni non erano idonee, si dovrà trovare loro una nuova destinazione.”
Molti intervistati lodano le iniziative di alcune esportatrici che stanno aprendo nuovi sbocchi commerciali.
Jorge Astudillo: Le ciliegie del nord, per ragioni contingenti, sono state inviate in parte a mercati non tradizionali.
“La Russia è stata molto interessante: con un calibro 3J si ottiene lo stesso ritorno di un 4J in Spagna. Ma sono vendite spot, di nicchia. Uno o due pallet bastano, oltre si satura. In Spagna è già successo: nel 2023 arrivavano 3–5 pallet; quest’anno 30–40, con conseguente crollo dei prezzi.”
Jordi Casas: “Gli USA sono il nostro secondo mercato, ma rappresentano solo il 3–4%. Portando lì il 10% di quanto va in Cina, potremmo arrivare al 15%. Ma che impatto avrebbe sui prezzi?”
Sebastián Navarro cita Claudio Vial e Cristián Benavente di Ranco Cherries: ridurre la quota Cina all’85% richiederebbe quadruplicare le spedizioni verso altri mercati. E portare da 50 a 100 container la quota diretta alla Corea farebbe esplodere quel mercato. “La Cina, pur in crisi, compra ancora. Gli altri Paesi potrebbero invece farci buttare la frutta”, avverte.
Immagine 3. Dalla rimozione del frutto dall'albero, ogni fase deve essere eseguita con cura per preservare la qualità richiesta dal mercato.
Marcelo Correa: Serve accettare che aprire nuovi mercati è vitale, anche se i ritorni saranno inferiori rispetto all’epoca d’oro della Cina. Ma contribuirà a decomprimere il mercato e a ottenere prezzi sostenibili. “Ciascuno dovrà fare bene il proprio lavoro, dagli esportatori ai produttori”.
Walter Masman: Diversificare è una sfida enorme, che richiede tempo. “Lo sappiamo bene, e nei mercati grandi ci vorrà ancora più tempo.”
Jordi Casas conclude: “Le esportatrici e le aziende commerciali useranno la loro professionalità per sviluppare questi mercati… ma ci vorranno almeno cinque anni.”
Fonte testo e immagini: redagricola.com
Francisco Fabres
Redagricola
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