Il 5 agosto 2025 non è stato un giorno come un altro per le colline della Ciociaria. La Ratafia Ciociara – liquore che nasce dall’infuso di amarene – è stata iscritta nel registro europeo delle Indicazioni Geografiche (IG), la terza in Lazio, ma la prima strettamente autoctona tra le bevande spiritose.
Un nome tecnico, che nasconde però un'anima calda, una storia secolare e il sapore intenso di un patto suggellato con un bicchiere in mano.
Gli ingredienti
Per creare un tesoro degno di essere protetto, servono ingredienti d'eccezione. E la Ratafia Ciociara non fa sconti. Le protagoniste assolute sono le visciole (o amarene), quel frutto aspro, quasi selvatico, dal colore profondo e dal sapore intenso.
Non sono le ciliegie dolci e gentili che tutti conosciamo, ma la loro controparte più fiera e aromatica.
A questo cuore di frutta si unisce l'anima del vino, e il disciplinare permette una scelta che racconta due storie del territorio. Da un lato, il Cesanese del Piglio Docg, il figlio prediletto di questa terra, un vino autoctono, morbido e fruttato, che sposa le visciole in un abbraccio armonico.
Dall'altro, l'Atina Doc Cabernet, un vitigno internazionale quest’ultimo che qui ha trovato una seconda casa, donando al liquore una struttura più complessa e un respiro più ampio. Il risultato è un elisir con un grado alcolico che oscilla tra il 17 e il 35% (17°–35°), dal colore del rubino e con un profumo che sa di frutta, di mandorla e di ricordi.
Un patto ratificato...
Ma basta l’eccellenza delle materie prime per un riconoscimento così importante? Ni. Sono anche la storia di un prodotto e il suo legame con il territorio a essere valorizzati.
Per capire il percorso che ha portato la Ratafià Ciociara fin qui, bisogna partire dal nome, deliziosamente fané e sicuramente musicale. Da dove arriva? Bisogna chiudere gli occhi e immaginare un mondo senza e-mail o contratti digitali. Privo della gelida firma elettronica che si mette con un clic.
La risposta è una porta sulla storia: "rata fiat", "il patto è fatto", "si ratifichi". Questa è la traduzione latina letterale di questo nome, che permette riflessioni e deduzioni storiche.
La Ratafia era plausibilmente ospite fissa di momenti importanti. Era il sigillo liquido che chiudeva un affare, un accordo o, più romanticamente, una promessa di matrimonio. Dal tavolo del notaio a quello della festa, insomma, offrire e bere insieme questo liquore rosso rubino significava mettere un punto fermo. Un patto suggellato con l'infuso di visciole e vino buono.
Il legame col territorio
Il disciplinare di produzione parla chiaro, già dal nome, anche per quanto riguarda la territorialità: affinché una bottiglia possa fregiarsi del marchio, l'intero processo, dall'infusione all'imbottigliamento, deve avvenire esclusivamente all'interno dei confini amministrativi della provincia di Frosinone. Non è una semplice indicazione, ma garanzia di autenticità.
La Ratafià è nata tra i campi – d’altronde, la “ciocia” era la calzatura tipica di pastori e contadini della zona – e si è trasferita nelle case, tanto che è più che certo che allora come oggi ogni famiglia abbia la sua ricetta.
È questa storia che ha ricevuto la sua consacrazione ufficiale. E che è pronta – d’altronde sta già accadendo grazie al lavoro di piccoli produttori artigianali – a essere assaggiata al meglio anche al di fuori dei confini del suo territorio.
Ma quando si può assaggiare? Qual è il suo posto rituale all’interno della giornata? A ben dire, la Ratafia Ciociara è piuttosto versatile, come suggerisce la sua storia. Servita a fine pasto, a temperatura ambiente o appena rinfrescata, è un digestivo superbo che pulisce il palato.
Nel piatto o al bar
Ma è negli abbinamenti che rivela tutta la sua grandezza. Provatela con la pasticceria secca della tradizione, come le ciambelline al vino o i tozzetti: è un matrimonio d'amore.
L'incontro fatale, però, è con il cioccolato fondente, dove l'amaro del cacao e le note fruttate della Ratafia danzano in un equilibrio perfetto. Per i più audaci, l'abbinamento con un formaggio stagionato è una scoperta sorprendente.
E come ingrediente, in cucina o al bar? Non delude. Il suo profilo aromatico unico, un equilibrio perfetto tra la dolcezza del vino e l'acidità fruttata delle visciole, la rende un jolly.
In pasticceria può essere utilizzata come bagna per il Pan di Spagna, soprattutto se si vuole preparare un dolce con crema e frutta rossa, o anche come aggiunta a una mousse al cioccolato fondente. D’altronde che il matrimonio tra cioccolato e amarene sia fortunato, lo dimostra da molto tempo la Foresta Nera, una delle torte classiche più golose che ci sia.
Il suo sapore leggermente agrodolce, può dare soddisfazione anche agli amanti della carne, soprattutto se utilizzata per una salsa o per una riduzione in purezza. Con la cacciagione o il cinghiale, crea armonie importanti.
Il mondo del bar sta riscoprendo già da tempo i liquori della tradizione. Il nocino e gli amari di erbe più intensi hanno trovato la loro strada e anche la Ratafia li sta seguendo. Le sue caratteristiche organolettiche la rendono perfetta come ingrediente per un qualsiasi cocktail sour, oppure per un twist originale – e coraggioso – sul Negroni, se la si sostituisce al Vermouth della ricetta originale.
Per i meno bravi con shaker e colini, può essere mixata con un Prosecco e un top di soda per uno Spritz più territoriale, o anche con una tonica - 2 parti di liquore e top up di tonica - per un aperitivo rinfrescante.
Quale che sia l’utilizzo che se ne voglia fare, il riconoscimento ufficiale è la chiusura di un cerchio. Un sigillo. E l’inizio di una nuova storia. L'Indicazione Geografica è molto più di un bollino: è uno scudo che protegge la Ratafia Ciociara dalle imitazioni e un passaporto che le permetterà di viaggiare nel mondo raccontando la sua storia.
È il giusto riconoscimento per i produttori che hanno custodito questa tradizione e un'eredità di valore per l'intero territorio, che ora ha su di sé la responsabilità di raccontarla e promuoverla nel modo giusto.
Fonte immagine: Beverfood
Lara De Luna
La Repubblica
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